Dragan Jakovljević

Erkenntnisgestalten und Handlungsanweisungen

Abhandlungen zur Erkenntnislehre und praktischen Philosophie

libri nigri Band 57

Rezension


Rinunciare al pensiero autentico e argomentare sulla base di categorie astratte e sterili contrapposizioni di concetti rappresenta un rischio a cui ogni pensatore è soggetto. Lo stesso dibattito filosofico si svolge spesso all'interno di paradigmi concettuali che, sebbene universalmente accettati, talvolta non corrispondono alla effettiva situazione che dovrebbero descrivere e necessitano di un ulteriore esame. Il volume di Dragan Jakovljevic, che si configura come una raccolta di sette diversi saggi, in gran parte già pubblicati in precedenza, si sforza costantemente di smascherare i faisi miti su cui negli ultimi anni la discussione filosofica in diversi ambiti si è colpevolmente fossilizzata. L'autore - professore ordinario di etica e teoria della conoscenza all'università di Podgorica - propone una riflessione acuta ed equilibrata riguardante alcuni degli argomenti più scottanti in svariate discipline, in un'analisi che spazia dall'epistemologla all'etica, dalle scienze sociali alla filosofla della religione. Vengono così affrontati tanto i temi epistemologici della validità della conoscenza e del metodo della ricerca scientifica quanto problemi che emergono a partire dal dibattito pubblico, come quello della corretta concezione della tolleranza in una società pluralistica oppure del ruolo che la religione può e deve giocare in tale contesto. L'argomentazione prende le mosse per lo più dal confronto con la tradizione del razionalismo critico, in particolare dalla riflessione di K.R. Popper e H. Albert, con il quale l'A. ha portato a termine la sua formazione dottorale all'università di Manheim.

Il primo saggio, dedicato alla discussione del fallibilismo, delinea l'orizzonte metodologico al cui interno si svolge la riflessione dei saggi successivi: l'obiettivo della ricerca filosofica non consiste nel conseguimento di una conoscenza dal valore assoluto e inconfutabile o nell'elaborazione di un sistema onnicomprensivo, quanto piuttosto nel tentativo di sviluppare una soluzione - foss'anche soltanto incompleta e provvisoria - ai problemi che emergono nell'esperienza, in particolare nella convivenza nella polis. Per la medesima ragione l'eleganza argomentativa e la semplicità delle soluzioni proposte, cosi come il fascino retorico, vengono sacrificati a favore della chiarezza e della maggiore aderenza possibile alla realtà dei fatti. Nella misura in cui in tale realtà si manifestano problemi complessi e articolati, non ci si può attendere di ricevere una soluzione limpida ed elementare, che per mezzo di artifici retorici o inavvertite semplificazioni risparmi l'inderogabile fatica del discernimento e della riflessione. Al fine di rendere palese la necessità di procedere con la dovuta accortezza, i saggi di Jakovljevic dedicano un'ampla sezione all'esame accurato e rigoroso delle posizioni più diffuse non solo all'interno del panorama filosofico, ma anche nel quadro dell'opinione pubblica corrente. Soltanto nelle battute finali, osservando ad ogni modo una certa cautela e avvedutezza, l'autore si spinge a proporre un'alternativa autonoma, che non consiste nello schieramento a favore dell'una o dell'altra visione, ma piuttosto nel tentativo di cogliere gli elementi vantaggiosi di ciascuna e di inserirli all'interno di una proposta che sia il più possibile concreta ed effettivamente attuabile. Ai colori forti di una contrapposizione inasprita da motivi di natura non esclusivamente filosofica, Jakovljevic preferisce tinte più sfumate, in grado di rendere conto della comp1essità delle sfide da affrontare. Per fronteggiare tali sfide deve cadere anche la rigida distinzione fra i diversi ambiti della filosofia, "che può dare buona prova di sé come patria attiva dcl pensiero interdisciplinare e di un orientamento che travalica e supera i confini delle diverse aree" (p.10). Il destino della filosofia non è quello di una settorializzazione sempre più specialistica, bensì di diventare "un medium di connessione e interazione fra cognizioni e conoscenze ottenute e la prassi, l'orientamento necessario per l'agire umano" (ibidem.)

Un'istanza concreta di una tale interazione tra teoresi e prassi è rinvenuta nella riflessione morale di Karl R. Popper, fondantesi sul cosiddetto utilitarismo negativo, ovvero la dottrina secondo cui la moralità di un'azione non è valutata in base alla massimizzazione del piacere, ma alla minimizzazione della sofferenza e del dolore. Questa teoria rappresenterebbe l'equivalente pratico della asimmetria tra verificazione e falsificazione, filo conduttore della epistemologia popperiana. Lungi dall'approvare acriticamente tale analogia, Jakovljevic dedica un intero saggio alla sua discussione, smascherando tutte quelle assunzioni che, sebbene sottaciute dallo stesso Popper, sono imprescindibili per la validità della argomentazione. L'analisi mostra come l'analogia presentata da Popper si fondi su presupposti di natura non solo epistemologica e assiologica, ma anche teologica e psicologica. Pur non condividendo tale specifica tesi popperiana, Jakovljevic mostra come la filosofia debba costituire un meta-sapere, in grado di coniugare i risultati delle discipline particolari in una visione unitaria, destinata a sua volta a fornire un orientamento all'uomo nella concretezza della situazione storico-sociale.

Un ulteriore spunto per ribadire l'unità della filosofia è offerto dalla ontroversia tra la tradizione "ermeneutica" (la cosiddetta "filosofia continentale") e quella "positivistica" (rappresentata al giorno d'oggi dalla filosofia analitica). L'insorgere di questa separazione è rinvenuto nella celebre distinzione operata da Dilthey nelle Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie fra spiegare (Erklären) e comprendere (Verstehen): la spiegazione è il metodo adottato dalle scienze della natura, che si occupano di descrivere una realtà che sopraggiunge all'uomo dall'esterno, mentre la comprensione è la via che le cosiddette scienze dello spirito devono seguire al fine di caratterizzare l'esperienza umana vissuta (Erlebnis). L'argamentazione di Jakovljevic è tesa a mostrare i limiti di una concezione, denominata "essenzialismo metodologico" (p. 60), secondo cui il metodo che la scienza deve seguire sia dettato dallo stato di cose che essa è chiamata a descrivere. In conformità a ciò, esisterebbe per ogni scienza un metodo vero, autentico, determinato dalla tipologia a cui appartiene il suo oggetto. Opponendosi a questa indebita "apriorizzazione del dominio oggettuale" (p. 65) delle scienze, l'A. svolge un riflessione sullo scopo della scienza in generale: non la formulazione di proposizioni universali, bensi "lo studio di determinati problemi e delle loro diverse alternative di soluzione". Non esiste dunque un unico metodo, né tanto meno un metodo vero, ma fra le differenti possibilità di risposta a un problema è opportuno scegliere quella che permette di raggiungere il più agevolmente possibile il fine prefissato. Di conseguenza la tesi popperiana del monismo metodologico (per cui sia le scienze della natura sia le scienze dello spirito si sviluppano seguendo il metodo ipotetico-deduttivo) non soltanto si rivela falsa alla prova dei fatti (cfr. pp. 76-85) ma risulta anche priva di significato. Jakovljevic invita piuttosto ad assumere "una posizione più flessibile" (p. 89), che, senza cedere né all'anarchismo metodologico à la Feyerabend da una parte né all'essenzialismo dall'altra, sappia valorizzare la specificità di ciascuna scienza riconoscendo nei fatti il metodo che più le si addice.

La proposta di una presa di posizione equilibrata e flessibile si rinnova nella discussione di un altro tema molto controverso della filosofia della scienza novecentesca: come avviene, se avviene, il progresso scientifico? Gli epistemologi si sono per lo più divisi fra l'interpretazione "evoluzionistica" e quella "rivoluzionistica" della storia della scienza. Entrambi i partiti, tuttavia, condividono l'esigenza di prendere le mosse da un'indagine di natura storica, che ricerchi le cause dell'incremento della conoscenza scientifica così come si è effettivamente verificato nei secoli precedenti. Il pensiero di Paul Lorenzen e Jürgen Mittelstraß, esponenti della scuola di Erlangen, offre una valida alternativa a questo modo di procedere, nella misura in cui si propone di adottare un metodo "normativo-genetico" di interpretazione della storia della scienza, volto a ridurre la componente irrazionale, che, nella concezione allora in voga, svolgeva un ruolo di primo piano nella prassi scientifica. Ciò significa che è necessario indagare non solo il contesto storico-effettivo nel quale il progresso scientifico è avvenuto, ma anche il contesto delle ragioni (Gründezusammenhang), ovvero di quei rapporti teorici di fondazione che regolano la nascita e lo sviluppo di determinate scienze. Ad esempio, la nascita della dinamica newtoniana non è dovuta soltanto al genio di Newton e alle condizioni storico-culturali del XVII secolo, ma presuppone, su un piano meramente teorico, la geometria euclidea e la descrizione cinematica del moto effettuata da Galilei. Il progresso scientifico, dunque, si sviluppa mediante "un movimento a spirale che oscilla fra genesi normativa e effettiva" (P. LORENZEN, Konstruktive Wissenschaftstheorie, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1974, p. 96). JakovIjevic condivide l'interpretazione appena esposta e sottolinea come essa, pur senza negare la genialità dello scienziato o la possibilità di un evento prima facie non spiegabile, che induca a una revisione delle conoscenze scientifiche, incrive il progresso scientifico in un quadro generale di razionalità.

Gli ultimi due saggi prendono in esame il concetto di tolleranza. Nel primo viene messo in questione il cosiddetto "paradosso della tolleranza", formulato da Popper: l'esercizio di una tolleranza illimitata conduce alla distruzione della tolleranza stessa. In questo scenario, infatti, anche gli intolleranti sarebbero tollerati e finirebbero per annientare l'intero numero dei tolleranti, e con essi appunto la tolleranza. Jakovljevic analizza minuziosamente la formulazione del paradosso, mettendone a nudo le assunzioni implicite e, spesso, indebite. La più decisiva è la seguente: Popper opera con un concetto esageratamente esclusivo di intollerante: l'annientamento fisico non è certo l'unica forma possibile di intolleranza, né tutti gli intolleranti anelano alla scomparsa dei loro rivali; al contrario bisogna necessariamente tenere in considerazione l'esistenza di una serie di forme intermedie di tolleranza-intolleranza, che non possono essere ridotte allo scontro violento.

L'ultimo saggio affronta il tema della coesistenza fra diverse concezioni religiose e in particolare considera l'accusa di intolleranza rivolta al monoteismo. L'A approccia il tema innanzitutto da un punto di vista epistemico-semantico, facendo notare come sotto questo rispetto la tesi politeista non sia affatto più tollerante di quella monoteista. In un secondo momento, invece, prende posizione rispetto al dibattito pubblico e ideologico riguardante le religioni monoteistiche, e mostra come sotto il concetto generale di monoteismo vengano compresi elementi diversi: non solo la tesi dell'unicità di Dio, ma anche le teorie filosofiche che da essa più o meno indirettamente discendono, l'interpretazione delle Sacre Scritture, le decisioni prese dall'autorità ecclesiastica in determinati momenti storici. L'accusa di intolleranza può certamente essere rivolta a queste componenti accidentali che hanno accompagnato la storia dell'affermazione delle religioni monoteistiche, ma non al contenuto infortmativo della tesi monoteistica in sé e per sé.

La presente raccolta di saggi, dunque, non si configura come una semplice giustapposizione di contributi riguardanti i più svariati temi, ma presenta un'unità metodologica e argomentativa che permette di leggere il volume come un tutto unitario, il cui cuore pulsante risiede nella riflessione epistemologica.

TOMMASO MAURI


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