Arcangela Cafagna

Dal contesto alla costituzione del testo. Il
I libro delle elegie di Properzio

Postfazione di Paolo Fedeli

Studia Classica et Mediaevalia, Band 14

Rezension


Una nuova pubblicazione è destinata a suscitare interesse e apprezzamento da parte degli studiosi di Properzio; si tratta del volume Dal contesto alla costituzione del testo. Il primo libro delle elegie di Properzio scritto da A. Cafagna, giovane e promettente studiosa, di quella scuola barese diretta da Paolo Fedeli, che può vantare tante benemerenze con i suoi cinquanta anni di ricerche sul poeta latino.

L'originalità dell'opera. si rende evidente dal titola stesso, essendo la coerenza delle situazioni narrative ricercata per precisare il contenuto testuale di ogni singola elegia, mentre la corrispondenza con le scelte della tradizione elegiaca greca e latina, con la varia tipologia del genere e la trama retorica e stilistica, letteraria, metrica sono ritenute ragioni valide per consigliare una di due o più lezioni discordanti del testo del monobiblos properziano. Ciò avviene immancabilmente ogni volta che il filo del discorso subisce qualche falla e la comunicazione va necessariamente ripristinata in nome della logica migliore, senza per questo sentirsi intralciati dalle categorie dei conservatori e degli innovatori.

Nella succinta premessa all'analisi dei testi Cafagna, dopo aver discusso della nota e costante contrapposizione tra la tradizione del codice più antico e quella di una seconda famiglia, in ciu decisiva era stata la mediazione dell'exemplar perduto di Francesco Petrarca, critica la scelta di Heyworth (Oxonii 2007) di conferire eccessiva autorevolezza ad una nuova famiglia che si sarebbe aggiunta con pari peso alle altre due. In effetti a migliorare il testo del monobiblos, che ebbe corso autonomo appena pubblicato, salvo poi essere ricompreso nell'archetipo, sono sufficienti fino a 2,1,64 le due famiglie tradizionali, alle qnali si aggiunge l'imponente opera filologica e critica di congetture che ha accompagnato dal Rinascimento ai nostri giorni la revisione del testo. Si aggiungerà, infine, il riferimento alle "recenti e ancora inedite ricerche" (p. 7) di Fedeli delle quali l'autrice ha potuto avvalersi per cortesia dello studioso, che, per parte sua, ha dimostrato ad abundantiam come la terza classe di codici evocata da Heyworth sia destinata a sparire prima o poi nell'ombra.

Passeremo quindi a mo'di specimen alcune delle proposte della studiosa.

L'elegia indiziale mette in atto lo statuto che regola il mondo poetico del primo libro con i suoi personaggi e la sue fonti, Al paragrafo terzo dove si esaminano i vv. 9-14 dedicati all'esempio mitico di Milanione, il riscontro di varie aporie nel testo tradito offre alla studiosa l'opportunità di esaminare accuratamente il passo corrispondente dell'Ars ovidiana (2,186-192) che da quello dipende. Si notano dal confronto richiami del testo (saucius in entrambi), lezioni alternative (videre /ferire; vulnere / verbere), l'assenza di un atteggiamento servile nei confronti di Atalanta, che ha fatto congetturare a Housman e a Enk la caduta di un distico, e qualche scelta autonoma di Ovidio (l'arco al posto della clava); tutto ciò fa sì che il ritratto dell'eroe perda i connotati del giovanetto imbelle e inesperto per assumere il profilo di un coraggioso cacciatore almeno fino al crollo dovuto al mal d'amore.

Secondo caso: Properzio didascalico in una scena di "veyeurisme". La decima elegia, in sintesi, trae origine dall'invito sincero di Gallo a Properzio ad assistere ad una notte d'amore con l'amata; ciò offre al poeta di espletare la sua funzione di didaskalos. Dopo dieci versi in cui Properzio si sofferma sul piacere della vista l'espressione reticere dolores viene modificata da Heyworth in recitare colores che però risulta un gesto irriguardoso di Properzio, immaginato svelare ciò che di quella notte doveva restare segreto, tanto più in presenza della fides evocata nel verso successivo come "fidele silentium, taciturnitas" secondo l'interpretazione del-l'articolista del Thesaurus. In realtà là dove c'è una sottile incongruenza nel testo è possibile evitarla, se al posto di dolores recepiamo dai recenziori la lezione furores, cioè " furori d'amore " che appare in sintonia con 1'iterazione di iocunda al v. 1 e 3, il cui valore serve a denotare ogni fenomeno grandioso purché sia descritto con maestria come risulta dalla scoliastica (cf. quanto ho scritto in proposito Sulla nomenclatura grammaticale e retorica della funzione avverbiale degli scoli di Lattanzio Placido in Latinitatis Rationes a cura di P. Poccetti, Boston - Berlin 2016 726). Il contrasto semantico che appare invece a v. 15 tra diversos e coniungere e a v. 17 tra curas e sanare potrebbe trovare un'adeguata soluzione nell'opposizione di clausas rispetto al poco caratterizzato tardas dei codici e degli editori. Infine ingrata come epiteto di parti del corpo, in questo fronte, potrebbe, per la possibilità del passaggio, aver sostituito un' originaria lezione irata come era stato già congetturato dal Burman.

Terzo caso proposto à quello delle due elegie in forma di epigramma che concludono il monobiblos. È evidente che entrambe intendono fungere da sphragis di presentazione del libro del poeta (che è ancora sconosciuto) e all stesso tempo introdurre i tristi eventi del Bellum Perusinum. Alla 21 si segnala il distico 5-6 dove Cafagna condivide con Puccius la scelta di espungere ut dei codici e considera preferibile vedere in te servato un ablativo assoluto piuttosto che un imperativo futuro, anche se forse è lecito dubitare della spiegazione fornita, dato l'uso del modo che ne fa la tragedia arcaica. Forse è tutt'altro che inverosimile che Properzio stesso abbia voluto lasciar aperta la questione per il 1ettore. Nel pentametro, poi, ne dei codici necessita di essere emendato, ma le proposte varie dei recenziori e dei filologi sembrano, a vagliare attentamente, restringersi al solo me di La Penna, la cui soluzione contribuisce alla drammaticità della scena; esso reca con sè come inevitabile conseguenza I'emergere del nome proprio della sorella, Acca, che era stato già suggerito dallo Scaligero. Anche a 22 sit del v. 6 non può essere l'apodosi, che inizia al v. 9 (i vv. 6-8 hanno funzione parentetica enfatizzata da praecipue come dolor di Properzio), sicché potremmo vedere in esso una corruzione dell'originario set / sed che personalizza la condizione del poeta lasciando scorrere sullo sfondo in una visione più generale i funera Italiae. La scena finale consente al lettore di immaginare quale fosse la fertilità dei luoghi nativi prima della guerra.

Nella Postfazione che tiene dietro alle elegie del primo libro (380-386), interviene Paolo Fedeli che intende valutare quel momento particolare della storia properziana, laddove si è aperta la frattura tra il monobiblos e l'opera successiva, che la risposta a Tullo, ben noto per altro al poeta, tenta di sanare. Al quaeris di Tullo corrisponde il quaeritis che è l'incipit del libro secondo e che si può pensare pronunciato dai poeti dell'intero circolo di Mecenate. Quelle di Properzio sono sembrate tuttavia parole di calibro troppo vago e impreciso rispetto alle inquisizioni di Tullo: qualis et unde genus, qui sint... Penates, cui non basta rispondere con gli anagrammi GENS PROPERTIA di Heyworth.
È più che verisimile che Properzio sia stato indotto alla vaghezza dell'identità dal modello della Odissea che troviamo nelle risposte di Ulisse ad Arete e ad Alcinoo, nelle quali mescola verità e invenzione secondo una tecnica che ritroviamo anche in due passaggi del XIX canto, dove l'eroe tende a divagare senza fornire dati compiuti alle richieste pressanti di Penelope. Come in Omero, dove ricorre per esempio l'immagine del "re buono", che unisce la pietà verso gli dei alla giustizia per il suo popolo, troviamo tuttavia nella rispost di Properzio i margini per ammettere "una possibile riappacificazione" dopo i lutti personali e civili che hanno trasformato la terra ubertosa di Etruria in Perusina sepulcra. Una riconciliazione importante che fa la sua comparsa anche nel Pallante virgiliano e marcherà i limiti di un'intera età, quella di Augusto.

In conclusione si può senza dubbio dire che Arcangela Cafagna con questo libro dalla scrittura fitta e densa, dove non si offre al lettore la possibilità di una sosta per tirare il fiato, abbia dato prova di un'ottima cipacità di emendare e di suggerire congetture per un testo corrotto e difficile quale è quello di Properzio che necessita di essere contestualizzato passo passo fino alla fine. In realtà la fine non arriverà mai, ma la logica e iI rigore di cui dà prova costituiranno nel futuro un aiuto non indifferente a valutare il testo del monobiblos.

Carlo Santini, Perugia


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