Dragan Jakovljević

Erkenntnisgestalten und Handlungsanweisungen

Abhandlungen zur Erkenntnislehre und praktischen Philosophie

libri nigri Band 57

Rezension


Il volume raccoglie alcuni scritti dedicati dall’A. all’epistemologia generale, alla teoria della scienza, all’etica e alla filosofia sociale, oltre a un saggio di filosofia della religione. Si tratta in gran parte di articoli già pubblicati in lingua serbo-croata, a eccezione però del primo saggio, inedito, che è dedicato alla discussione circa la possibilità o meno di applicare il principio popperiano di fallibilità alla stessa posizione fallibilistica. Seguendo l’indice, ecco i temi affrontati dal volume: il problema della fallibilità del fallibilismo; la questione dell’oggetto e dei metodi delle scienze sociali; il cosiddetto utilitarismo negativo di Popper; il tema dei limiti della tolleranza; l’accusa d’intolleranza rivolta al monoteismo.

L’A. si pone dal punto di vista di una forma moderata di fallibilismo, sia in teoria della conoscenza sia in etica, sviluppata mediante il ripensamento critico soprattutto delle posizioni di Karl Popper e di Hans Albert, ma anche in dialogo con alcuni esponenti della scuola di Erlangen (soprattutto Jürgen Mittelstraß) e, per il saggio dedicato all’etica in Popper, con Dieter Birnbacher.

Non è possibile rendere qui giustizia alla ricchezza di temi, osservazioni e suggestioni originali del volume, e mi limiterò a discutere due soli punti: 1) il problema se il principio di fallibilità possa essere coerentemente ritenuto fallibile esso stesso; 2) il problema del rapporto fra scienze naturali e scienze umane.

Il primo tema è oggetto dell’articolo «Fehlbarkeit des Fallibilismus», che apre il volume. L’autore riprende il problema dove lo avevano lasciato Hans Albert e Karl-Otto Apel (nonché alcuni loro discepoli). Com’è noto, quest’ultimo, facendo leva sulla natura innegabile di certi presupposti ultimi implicitamente o, più precisamente, performativamente asseriti con ogni concreto atto di pensiero o con ogni decisione pratica, ha criticato il principio del fallibilismo perché intrinsecamente contraddittorio. Assumendo che il fallibilismo sia esso stesso fallibile, si cadrebbe in una posizione paradossale.

Dopo aver mostrato i limiti delle risposte sinora fornite da Albert o altri esponenti del razionalismo critico popperiano, l’A. muove da un’analisi più precisa dell’argomentazione di Apel. Essa contiene due diverse affermazioni: «i) Se gf [sc.: il “Fallibilismus-Grundsatz”, cioè il principio di fallibilità] è fallibile, allora esso è, perciò stesso, infallibile. ii) Ma se gf è infallibile, allora esso è, perciò stesso, fallibile » (p. 20). Ora, l’A. ammette che la seconda affermazione conduce a conclusioni paradossali, ma a ben vedere non è fatta propria né da Popper né da altri esponenti del razionalismo critico. La prima affermazione, invece, è propria del fallibilismo popperiano, ma va intesa nel senso che il principio di fallibilità, pur non essendo di Bibliografica per sé contraddittorio (come sarebbe, se ammettesse la propria infallibilità), potrebbe comunque rivelarsi un giorno insostenibile per qualche ragione non ancora nota. Ma per sostenere coerentemente questa posizione, secondo l’A. occorre che lo statuto del principio di falsificabilità non sia inteso come un’ipotesi metafisica, bensì nel senso di un’ipotesi empirica, al momento ben corroborata (cfr. pp. 26-29).

In sede critica, direi che, nonostante l’acutezza delle analisi e delle obiezioni mosse sia ad Apel sia alle precedenti analisi di scuola popperiana, non mi pare che attribuire al principio di fallibilità uno statuto empirico possa risolvere il problema centrale sollevato da Apel. Da un punto di vista che potrebbe esso stesso venir detto genericamente popperiano, infatti, si potrebbe ancora obiettare che, se davvero il principio di fallibilità fosse un’ipotesi empirica, dovrebbe essere possibile (e per un razionalista critico addirittura necessario) precisare qualche esperienza capace in linea di principio di dimostrare la falsità del principio di fallibilità. Ora, poiché questa richiesta non mi pare possa essere soddisfatta (non si riesce a pensare alcun esperimento che possa falsificare o confermare questo principio), mi pare avesse ragione Popper a ritenere che il principio di fallibilità dev’essere considerato un principio “metafisico” o meglio, seguendo piuttosto Apel, filosofico-trascendentale.

Un problema in ultima istanza strettamente intrecciato con quello appena visto si presenta a proposito del secondo punto su cui mi vorrei soffermare brevemente, e cioè il rapporto fra scienze naturali e scienze umane. Le considerazioni svolte dall’A. a questo proposito, per quanto vicine alla posizione assunta a questo proposito da Albert e Popper, se ne discostano su un punto importante: l’A. non accetta né il modello nomologico-deduttivo né la distinzione in linea di principio fra scienze naturali e scienze umane (basata sull’impiego della “logica situazionale”), tesi che, fra l’altro, paiono in inconciliabile contrasto. Il suo argomento centrale consiste nella tesi che le singole discipline possono distinguersi fra loro solo sulla base dell’insieme dei problemi che affrontano e cercano di risolvere, mediante «un’analisi approfondita dei modi di porre i problemi specifici delle rispettive scienze, [...] nell’ambito della finalità epistemica generale della teorizzazione scientifica» (p. 64). In altre parole, la distinzione fra le varie discipline è dettata dai particolari problemi, che definiscono esplicitamente implicitamente l’ambito disciplinare, e questo minerebbe alla radice ogni tentativo di ogni altra distinzione di principio e aprioristica come, appunto, quella fra scienze naturali e scienze umane.

Ora, pur avendo in passato sostenuto la tesi di un contrasto non sanato in Popper fra la tesi del monismo metodologico e quella della logica situazionale come aspetto distintivo delle scienze umane (cfr. M. Buzzoni, Umanesimo e scienze sociali in Popper, in «Sociologia» xiv, 3(1980), pp. 49-92, soprattutto le pp. 51-62), credo, all’opposto dell’A. che le due tesi in questione possano essere accolte entrambe, anche se solo dopo essere state opportunamente reinterpretate. Da un lato, il Bibliografica monismo metodologico popperiano consiste sostanzialmente nel metodo del tentativo e dell’errore e, anche nella forma del modello nomologico-deduttivo, è di per sé sostanzialmente conciliabile con una pluralità di metodi particolari e diversi all’interno delle diverse e particolari discipline. D’altro lato, non si scorge perché la relatività e pluralità dei metodi, pur riguardando tutte le discipline, non potrebbe essere comunque compatibile con una distinzione più generale fra le scienze naturali e le scienze umane. Solo per accennare a un possibile modo di reinterpretare quella che Popper chiama logica o analisi situazionale, e tralasciando le particolari difficoltà con cui questa nozione si presenta in Popper, si potrebbe per esempio sostenere che essa, nonostante la completa pluralità dei particolari metodi impiegati nelle più diverse discipline, potrebbe comunque distinguere le scienze umane da quella naturali perché, nel caso delle scienze umane, abbiamo a che fare con il fatto che ogni evento o fattore causale naturale non può non configurarsi anche come un “motivo”, dal momento che la sua efficacia causale è sempre in qualche misura mediata dalla consapevolezza – non importa quanto minima – che ne abbiamo. La stessa possibilità di una posizione di questo genere – a prescindere dal fatto che occorrerebbe poi argomentare positivamente in suo favore – è sufficiente a mostrare la non conclusività dell’argomento usato dall’A.

Le osservazioni che precedono, naturalmente, nulla tolgono al notevole valore del libro, che è sia storiografico (soprattutto rispetto all’interpretazione di Popper) sia teoretico. Oltre a dimostrare una sicura conoscenza del razionalismo critico popperiano, l’opera è ricca di numerosi spunti originali, sia interpretativi sia teoretici. Data la molteplicità dei temi trattati, tuttavia, era impossibile rendere giustizia a questo lavoro nello spazio di una recensione, ma proprio per questo è necessario precisare che, nonostante il numero ormai grandissimo di opere dedicate a Popper, essa si colloca comunque fra gli scritti più importanti dedicati al fallibilismo popperiano.

Marco Buzzoni


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